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sabato 30 dicembre 2017

Questo si che si chiama "Team Building"! Lorenzo porta la sua squadra in vacanza

Jorge Lorenzo ha portato in vacanza l'intero box che si prende cura delle sue moto in pista. Questo è vero lavoro di squadra!

In qualsiasi organizzazione che si rispetti, il Team Building è uno dei fattori più importanti per il successo. Non è da meno il Box di un Team MotoGP, che vede un gruppo di lavoro impegnato a permettere al pilota di spremere al limite la moto in pista. Quello che noi vediamo sui circuiti è infatti solo la punta dell'Iceberg di un lavoro enorme che inizia quando i bilici dei Team raggiungono i circuiti e termina abbondantemente dopo che i circuiti sono vuoti alla domenica sera, e spesso prosegue anche oltre quando le squadre restano in pista per dei test post-gara.

Serve affiatamento, comprensione reciproca e grande rispetto da parte di ogni componente della squadra verso gli altri. In questo processo, il pilota è la punta di diamante, il finalizzatore, l'uomo designato a calciare il rigore. Ma questo pilota, sa bene che gran parte dei suoi risultati dipendono da quanto bene la sua squadra ha lavorato sulla moto.

Jorge Lorenzo si è dimostrato nel 2017 un grande uomo squadra, sempre presente in pista ed anche disponibile a festeggiare ai piedi del podio le vittorie del suo compagno di squadra Andrea Dovizioso. Questa attitudine non è cambiata durante l'inverno e lo spagnolo ha pensato anzi di fare un ulteriore passo in avanti nell'opera di Team Building in Ducati, portando la squadra in vacanza al Gran Palladium di Punta Cana, un resort decisamente rinomato.

Sembra che i ragazzi della Ducati si stiano divertendo, come si vede in queste foto ed è un piacere sapere che dopo un anno di sacrifici passati a smontare e rimontare, settare sospensioni e motori, adesso si stanno godendo qualche giorno di meritatissima vacanza proprio assieme al pilota che ha sempre cercato di finalizzare al massimo i loro sforzi in pista.

Le immagini riportate sono tratte dal sito francese Paddock-GP.com che le ha divulgate accompagnando la news.




Jorge Lorenzo in pista con una versione ibrida della GP18 a Jerez - VIDEO

Il sito inglese Crash.net ha pubblicato un video inedito che riprende Jorge Lorenzo in pista a Jerez mentre mette alla frusta la Desmosedici in versione mista

Il lavoro durante i test invernali è andato avanti senza soste per la Ducati, che ha raccolto molte informazioni assolutamente fondamentali per la definizione della Desmosedici GP18, ovvero l'arma con cui Dovizioso vuole prendersi la rivincita su Marquez e Jorge Lorenzo vuole dimostrare di poter essere vincente in sella alla Rossa di Borgo Panigale.

Il sito britannico Crash.net ha appena pubblicato un video che ritrae un dietro le quinte molto interessante di Jerez, durante i collaudi di Jorge Lorenzo di quella che è probabilmente una versione ibrida tra la GP17 e la GP18, con molti componenti in via di definizione prima della delibera necessaria per passare sulla moto del futuro. Una moto che, secondo quanto riportato, dovrebbe essere caratterizzata da un telaio più corto, ovvero la soluzione individuata dalla Ducati per risolvere quello che è da sempre l'unico tallone d'Achille di questa moto, cioè la velocità a centro curva.

Vi lasciamo alle immagini di Lorenzo ed invitiamo ad alzare al massimo il volume delle casse per godervi il sound della Desmosedici!

venerdì 29 dicembre 2017

Alzi la mano chi vuole una V4 di 600 cc per battere le giapponesi in Supersport

Il 2018 sarà senza dubbio l'anno del V4 Ducati e ci piacerebbe sapere in quanti vorrebbero una versione di media cilindrata per sfidare tutti in Supersport ed avere una sportiva perfetta nel box

La Ducati è senza dubbio un punto di riferimento tra le maxi sportive stradali. Con la serie 916 e poi 999, 1098 per finire alla Panigale V2 ed  oggi alla Panigale V4, c'è sempre stato posto al top per le ammiraglie sportive di Borgo Panigale. Ma cosa è successo nella middle class, quella 600 cc che fino a pochi anni fa era un vero territorio di caccia grossa per i giapponesi?

Il mercato di questo segmento ha subito una contrazione molto forte in questi anni, e mentre in passato ogni anno Honda, Suzuki, Yamaha e Kawasaki presentavano qualche novità, la situazione attuale è decisamente differente. I modelli delle Case giapponesi sono fermi a qualche anno fa, con la Yamaha che ha presentato una versione aggiornata della R6 solo l'anno scorso. Ci sono poi le europee Triumph e MV Agusta, che con le proprie 3 cilindri 675 offrono un'alternativa molto valida.

All'appello manca in modo piuttosto evidente la Ducati, che con la serie 848 ha deciso di giocare una partita differente, rinunciando alla possibilità di correre in Supersport pur di avere a listino una media sportiva appetibile per coprire quella fascia di mercato. La situazione non è cambiata con l'avvento della Panigale 899 e poi 959, che di fatto avvicina la cilindrata piena di 1000 cc, ovvero quella che caratterizzava le maxi Ducati fino al 2007. 


Sono tutte moto splendide che senza dubbio regalano prestazioni più abbordabili rispetto alle sorelle maggiori a cilindrata massima, e restano anche più avvicinabili in termini di prezzo. Eppure la presentazione della Panigale V4 ha aperto la strada ad una nuova generazione di sportive. Le ipotesi che si potrebbero prendere in considerazione sono due, e dipendono molto dalla volontà o meno di Ducati di competere in ambito sportivo con questo ipotetico modello middle class.

Secondo noi, il downsizing del Desmosedici Stradale si potrebbe declinare in due modi, ovvero una variante di 600 cc, pensata proprio per lottare ad armi pari con le rivali giapponesi e sfidarle in Supersport e poi un'altra ipotesi forse anche più affascinante, ovvero la scelta di creare una versione 750 cc del V4. Perchè questa cilindrata? 

Chi conosce la storia della SBK, non si pone affatto questa domanda sapendo perfettamente che fino al 2002, le sportive giapponesi a quattro cilindri schierate in SBK erano proprio caratterizzate da questa cilindrata. La Honda corse prima con la RC-30 e poi con RC-45, due veri gioielli di tecnologia, prima di scendere in pista con la VTR nel 2000. La stessa cilindrata caratterizzava la splendida Yamaha R7, la Suzuki GSX-R e la verdona per eccellenza, ovvero la Kawasaki ZX-7r.

Crediamo che la questione non sia da sottovalutare e soprattutto non è da sottovalutare che le attuali maxisportive hanno prestazioni che non sono minimamente sfruttabili per un utilizzo stradale. E' pur vero che l'elettronica ha cambiato in modo radicale il comportamento delle moto e che una 998 con 215 Cv e senza controllo di trazione sarebbe stato un problema enorme su strada anche per Troy Bayliss, mentre una Ducati Panigale 1299 con i controlli settati al massimo è tutto sommato utilizzabile da una grossa fetta di utenti.


Resta però innegabile che uno degli aspetti più belli della guida sportiva è il fatto di sentire che si sta spremendo davvero il mezzo meccanico, che si sta sfruttando ogni singolo cavallo e tutti i vantaggi della ciclistica di questa o quella moto. In quanti oggi sentono di sfruttare al massimo le maxisportive? Certo, c'è la pista, i turni di prove libere e in questi ambiti è possibile sperimentare in sicurezza le prestazioni monstre di queste moto, ma in quanti hanno la possibilità economica ed anche la disponibilità del tempo necessario per dedicare risorse a quest'aspetto?

Pensiamo all'utente medio, all'appassionato che lavora l'intera settimana e che solo nel week end (e non tutti i week end magari) può godersi la propria moto, pagata con enormi sacrifici. Una moto con una potenza superiore ai 200 cv è in ogni caso un oggetto che in qualche modo intimidisce e non sempre avere più potenza equivale a divertirsi di più. Ecco dunque che in quest'ottica, e per questo tipo di utente, una V4 a cilindrata ridotta potrebbe essere una moto semplicemente perfetta. 

Per tanti anni, per chi voleva una sportiva di razza che non spaventasse troppo, la GSX-R 750 ha rappresentato una delle migliori opzioni sul tavolo. Non pensate che una Ducati V4, con cilindrata compresa tra 600 e 750 cc, possa rappresentare perfettamente un concetto come questo?

Siamo curiosi di sapere cosa ne pensate!

Che ne pensate di riguardare tutte le gare SBK dal 2006 al 2016? Bastano 5 euro!


Sul sito della World SBK c'è una interessante offerta commerciale che vi permetterà di accedere ad un immenso archivio media con pochi spiccioli

Siamo in pieno inverno e tutti i principali campionati saranno fermi per qualche mese. Da fine gennaio riprenderanno i test, ma per vivere l'adrenalina della gara, del sorpasso, e godere dei duelli che ci fanno amare il racing, dovremo aspettare parecchio. Quindi perchè non godersi con calma i grandi duelli del passato della SBK. Si potrebbe guardare il trionfo di Bayliss a Portimao nel 2008, oppure assistere al confronto sul filo dei 300 km/h tra Haga e Spies a Monza nel 2009. Ci sarebbe poi anche il finale di gara da record di Assen nel 2006, con Bayliss che vince per un niente su Toseland. Poi ci sono le interviste, gli high-lights di ogni gara e gli approfondimenti.


E poi come non pensare a Imola ed a quella magnifica Wild Card del 2009 targata Marco Simoncelli? Abbiamo elencato solo qualcuna delle gare che si potrebbero rivivere in questi mesi ad un prezzo davvero modico, ovvero 5. Questo è infatti il costo per il VideoPass della Off Season SBK sul sito ufficiale della Dorna, che vi permetterà anche di assistere all'intera stagione 2018 live sul vostro PC o Tablet. Un'offerta molto interessante, che potrebbe consentire di accedere davvero con poco ad un'immensa libreria virtuale capace di condensare un mare di emozioni per un costo tutto sommato accettabile. 

giovedì 28 dicembre 2017

Lin Jarvis non è gentile su Lorenzo: «Non sento la sua mancanza dal punto di vista sportivo»

Strano che Jarvis di Yamaha non senta la mancanza di Jorge Lorenzo, l'unico pilota che abbia portato il titolo ad Iwata negli ultimi 9 anni

Jorge Lorenzo è approdato in Ducati nel 2017 e ci sembra che, statistiche alla mano, sia senza dubbio stato il pilota più titolato in Yamaha dal suo debutto che risale al 2008 in sella alla M1 da compagno di Team di Valentino Rossi. Rossi riuscì a vincere il titolo nel 2008 e 2009, ma in seguito è stato il solo maiorchino a fregiarsi del titolo di campione in sella alla moto di Iwata, in tre diverse stagioni.

Considerando questi numeri, sembra strano che Lin Jarvis, ovvero il gran capo di Yamaha nel racing, manifesti di non sentire la mancanza di Jorge, almeno dal punto di vista sportivo. Queste le sue parole, riportate dall'autorevole testata spagnola Marca.com : «Dal punto di vista sportivo Lorenzo non ci manca. Abbiamo avuto un lungo rapporto con Jorge, ha vinto tre titoli con noi e abbiamo solo buoni ricordi quando lo vediamo nel Paddock. Credo però che con o senza di lui ci saremmo trovati comunque gli stessi problemi. Lorenzo ci manca più a livello sociale, ma non in termini di rendimento. Quello che abbiamo ottenuto con lui è stato fantastico, ma adesso stiamo percorrendo una strada diversa e va bene così».


Noi non siamo convinti che il manager sia del tutto sincero, quanto piuttosto che le sue parole siano dettate dalla necessità di mantenere una certa "tranquillità" all'interno di un box che nel 2017 è stato spesso caldissimo. Tra scelte tecniche forse sbagliate, ed una moto competitiva solo a tratti, salvo poi diventare un missile nei test di fine stagione tra le mani di Zarco, difficile interpretare al meglio le parole di Jarvis, anche quando parla di Vinales: «Ha fatto una stagione molto buona con noi. E' stato  terzo nella classifica iridata e sta facendo un buon passo in avanti. Potenzialmente, avrebbe potuto fare ancora meglio se gli avessimo dato una moto migliore». 

L'unica cosa che ci sentiamo di sottolineare, e che forse potrebbe essere un vero spunto di riflessione, è che mentre le performance di Jorge Lorenzo in sella alla Desmosedici sono costantemente migliorate durante la stagione fino a renderlo competitivo per la vittoria in almeno tre gare, le prestazioni di Vinales e Rossi in sella alla M1 sono gradualmente peggiorate, dopo un inizio di stagione in cui sembrava che la Yamaha potesse recitare il ruolo di dominatrice. Magari non mancherà a Jarvis dal punto di vista sportivo, ma forse la sensibilità di Jorge Lorenzo come collaudatore, nonostante i fior di esperti nel box, manca ed anche molto alla Yamaha M1. 

Carl Fogarty a zero sui piloti di oggi: «Ai miei tempi c'erano in giro dei tipi davvero cattivi»

Non è di certo mai stato noto per la sua particolare tranquillità e King Carl Fogarty non si smentisce neanche a 52 anni, spiegando perchè i piloti di oggi non gli piacciono per niente

Nella storia delle corse, ci sono vari piloti noti sia per il proprio talento in pista che per il proprio caratteraccio una volta fuori. Se pensiamo alle quattro ruote viene in mente il mito della Nascar Dale Earnhardt, che come soprannome poteva contare su un poco rassicurante "The Intimidator". Il campione americano aveva la spiccata tendenza a vincere gare su gare anche grazie al suo approccio incredibilmente aggressivo nei confronti degli altri piloti, che spesso preferivano dargli strada piuttosto che finire a muro sui catini sparsi in giro per gli States.

Una indole da attaccante puro, unita al supremo talento alla guida di vetture pesanti, aerodinamicamente scarse e potentissime. Un mix che gli ha permesso di diventare il dominatore della categoria per tantissimi anni, fino alla sua prematura morte avvenuta proprio per incidente in pista. Nel motociclismo, c'è stato un altro grande campione che avrebbe potuto fregiarsi senza difficoltà del soprannome "Intimidator" e ci riferiamo a sua Maestà King Carl Fogarty.

Il britannico è il simbolo in persona della SBK degli anni d'oro, la Golden Age in cui Honda, Ducati, Kawasaki, Suzuki e Yamaha combattevano con le poderose quattro tempi e tempi in cui i nomi in pista erano quelli di Edwards, Russell, Corser, Slight e Kocinski tanto per citarne qualcuno. Fogarty ha chiuso la propria carriera in modo tremendo, con il botto di Phillip Island nel 2000, ma tutti ricorderanno sempre il suo sguardo di ghiaccio nascosto dalla visiera del casco. Un vero sguardo da "Intimidator" che puntualmente era accompagnato da una aggressività in pista più unica che rara.


Carl Fogarty è stato chiamato in causa per raccontare la sua versione sull'attuale panorama della MotoGP, spiegando nel dettaglio che a suo parere il grande cambiamento riguarda proprio i piloti: «Quando correvo io, i grandi personaggi avevano dei veri scontri: Kocinski, Edwards parlavano senza problemi, a nessuno piaceva nessun altro, nessuno trovava interessante un altro pilota. Oggi sono tutti amici, vanno in bici insieme, fanno alpinismo insieme. Quando correvo io c'era un inglese che ero io e poi l'americano, che era Edwards. Abbiamo entrambi parlato tanto, litigato ed abbiamo appassionato i fans. Abbiamo avuto diversi scambi verbali, come si fa nel pugilato, e poi abbiamo lottato in pista. Oggi questo non c'è più, sono tutti "Politicamente corretti"».

Un bell'attacco a muso duro quello del quattro volte campione SBK, che non risparmia neanche i piloti dell'attuale MotoGP: «Le cose erano diverse anche nel Motomondiale. C'erano Schwantz, Rainey, Doohan, Gardner. Erano tutti dei tipi cattivi e non potevano stare troppo vicini. Oggi è diverso, Valentino Rossi è simpatico. Se i compagni di squadra combattono, va sempre bene. Ci vuole rivalità! Guarda Rossi e Lorenzo, erano e sono a malapena amici e gli spettatori adorano quando i piloti si sfidano in questo modo».

Secondo Fogarty, tantissimo del cambiamento è dovuto anche a questioni di etichetta che una volta semplicemente non si ponevano: «Oggi non è più possibile essere davvero un personaggio, anche a causa di media e sponsor. Ti dicono quello che devi dire ed in ogni occasione devi dire grazie. Quando perdevo una gara a causa della gomma posteriore, dicevo che la Michelin era una merda. Oggi non si può più fare, è cambiato tutto. Per il meglio? Non ne sono sicuro». 

Ecco la Panigale V4 Naked: a noi piace immaginarla così!

In rete circolano i primi bozzetti di una Supernaked che ha come base la Panigale V4. Questa è la nostra versione di una moto molto attesa

Forse i tempi sono finalmente maturi per ammirare una nuova Naked Made in Ducati. Una moto che possa replicare il carattere dell'ammiraglia sportiva di Borgo Panigale, declinando il tutto per ottenere maggiore fruibilità su strada. In Ducati hanno compiuto questa operazione con il progetto 1098, mettendo su strada una delle moto più cariche di fascino degli ultimi anni, ovvero la Streetfighter. Una moto semplicemente splendida, che condivideva tantissimo con la versione carenata.

In Ducati decisero anche che l'eccessiva esuberanza del motore 1098 non permettesse a tutti di godere di quella moto, fino a decidere di rimpiazzarlo con la versione 848, probabilmente più adeguata alla maggior parte degli utenti. Poi è arrivata la Panigale ed il Superquadro, e il progetto non ha trovato una sua applicazione in chiave Naked. Probabilmente si è valutato che il DNA di questo motore non fosse adeguato per equipaggiare una nuda davvero godibile su strada e solo la fantasia di alcuni preparatori ha regalato agli appassionati qualche versione scarenata della magnifica Panigale V2.


Adesso che Ducati ha messo in produzione il Desmosedici Stradale, iniziano a fioccare le ipotesi che riguardano la versione Naked della Panigale e questa potrebbe essere davvero la volta buona. Basta pensare che sul mercato c'è già la Aprilia Tuono V4, una moto molto riuscita, che dimostra quanto possa essere valida una scelta tecnica di questo tipo per equipaggiare questo genere di moto. Quindi è facile immaginare che Ducati sia davvero pronta a regalare una erede alla Streetfighter ed in rete si trovano già molti bozzetti che non sembrano affatto distanti da quanto sarà realizzato. Noi abbiamo pensato di offrire la nostra versione di quella che potrebbe essere una moto davvero indovinata e molto desiderata nel panorama attuale di produzione.

Ancora oggi la linea della Streetfighter è carica di fascino, quindi perchè non immaginare una somiglianza tra le due moto?


Facile immaginare il timing per la presentazione di un modello di questo tipo: a Luglio c'è il WDW, uno degli eventi più "sentiti" per la Casa di Borgo Panigale ed anche il luogo perfetto per togliere il velo ad una moto che sulla carta potrebbe già essere pronta. Per ora non ci sono conferme ufficiali, ma chi frequenta spesso la Futa, ha confermato di essersi imbattuto spesso in alcuni prototipi che avevano un sound decisamente "strano" ed una struttura tipicamente Naked. 

mercoledì 27 dicembre 2017

Il Team Ducati Aspar cambia nome in dedica ad Angel Nieto

Una dedica emozionante quella del Team Aspar MotoGP, che ha deciso di cambiare nome in onore del compianto campionissimo spagnolo

Il regalo di Natale per un Angelo. Si può definire così la scelta del Team Ducati Aspar, che ha deciso ed annunciato proprio nel giorno della vigilia di Natale di cambiare la propria denominazione e diventare "Angel Nieto Team". Il grandissimo campione spagnolo ci ha lasciati nel 2017, in seguito ad un incidente stradale che l'ha visto vittima incolpevole. Il vuoto lasciato dal grande Angel è enorme, ed è stato impressionante l'affetto suscitato in tutto l'ambiente MotoGP nei confronti della famiglia del pilota scomparso.

Nieto è stato nella sua lunga carriera anche rivale e mentore del fondatore e titolare del Team Aspar, ovvero Jorge Martinez, al suo fianco nella foto di copertina. C'è poi da ricordare che Gelete Nieto, figlio di Angel, ricoprirà per la squadra spagnola il ruolo di Team Principal nel 2018. Martinez ha raccontato in questo modo una scelta emozionante: «Angel Nieto è sinonimo di gare motociclistiche, uno sport che gli ha dato tanto ed al quale egli stesso ha dato tanto. Le gare motociclistiche sono quello che sono in Spagna, grazie all'uomo che ha posato la prima pietra ed oggi vogliamo fare un tributo a tutto questo rinominando il nostro Team in "Angel Nieto Team". Si imparava moltissimo stando al suo fianco. Angel ha aiutato molte persone, come me tra gli altri. E' stato una parte importante della mia vita, come lo sono i suoi figli Gelete e Pablo, ed anche suo nipote Fonsi».

Un legame importante quello tra Nieto e Martinez, che sono stati compagni di team, rivali e grandi amici: «Angel era molto eccitato riguardo l'intero progetto. Mi affidò Gelete per iniziare la sua carriera nel Racing dicendomi: "So che con te imparerà molto". Poter pagare questo tributo alla sua memoria e continuare questo progetto affidandolo alle mani di suo figlio, che è stato uno dei primi piloti a correre per il mio team, mi rende molto orgoglioso».

In un mondo che viene sempre descritto con tanta rabbia, e governato solo ed esclusivamente dal Dio denaro, è bello leggere storie emozionanti come questa.

venerdì 22 dicembre 2017

Marco Melandri ha un sogno per il 2018: «Voglio mandare in pensione alla grande la bicilindrica»

Il 2017 ha visto il ritorno in gara a tempo pieno di Marco Melandri in sella alla Panigale SBK. Un anno positivo, con la vittoria di Misano che è stata la perla di una stagione al top

Marco Melandri è stata senza dubbio una delle scommesse vinte da Ducati per il 2017. A Borgo Panigale hanno deciso di accoglierlo per una seconda volta in famiglia dopo il disastro MotoGP targato 2008, credendo che il talento di Macio non fosse stato minimamente offuscato da quasi due anni di inattività. La scelta è stata giusta e Melandri ha dimostrato dal primo aproccio di essere l'opzione perfetta per la Ducati.

Mandata in archivio una prima e positiva stagione SBK in sella alla Panigale, adesso è il momento di mettere a frutto tutta l'esperienza maturata e concretizzare nel 2018. Quella che è alle porte è anche una stagione molto particolare per la SBK, con il grande cambiamento regolamentare che potrebbe rimescolare in parte le carte. In Ducati c'è poi da preparare l'arrivo della V4 previsto per il 2019, cercando di congedare nel migliore dei modi il bicilindrico in SBK.

Insomma, di elementi per rendere la prossima stagione di Melandri in SBK interessante ce ne sono tantissimi, con il pilota ben determinato a conquistarsi sul campo la conferma di Ducati anche per il 2019, con la possibilità dunque di poter portare al debutto in gara la V4.

Il pilota ravennate ha rilasciato una intervista a GPone, durante la quale ha parlato di tutti questi argomenti e mettendo in chiaro che ancora non è riuscito a mettere in mostra tutto il proprio potenziale in sella alla Panigale SBK: «Penso che la mia sia stata una stagione fantastica perché, dopo un anno di stop ed al rientro in SBK, sono riuscito a salire sul podio in 13 occasioni su 26 gare disputate, con una vittoria e mezza ottenuta. Credo poche persone avessero tanto credito e fiducia nei miei confronti, a parte la mia squadra, che mi ha voluto con sè perché i membri del team sapevano che non sarei tornato esclusivamente per fare numero, bensì, per stare davanti e giocarmi ogni possibilità di vittoria». 

Interessante il punto di vista di Melandri sulle prestazioni di MotoGP e SBK che su alcuni tracciati sono molto simili. Marco è un pilota molto tecnico e la sua non è affatto una disamina superficiale: «Nonostante le MotoGP abbiamo tanti cavalli in più rispetto alle Superbike, in alcune piste la potenza dei prototipi non riesce ad essere completamente scaricata a terra; in alcuni tracciati le MotoGP percorrono un giro a farfalla totalmente aperta per pochi secondi e la differenza dalle Superbike viene determinata non tanto dalle prestazioni del motore ma nella guida del pilota. In alcune piste e in condizioni atmosferiche particolari, le gomme Pirelli delle derivate sono più facili da portare al limite delle Michelin prototipo; questo accade a Jerez nei test invernali e ad Assen, quando fa freddo e le temperature di aria ed asfalto sono basse». 


Il grande cambiamento regolamentare che ha investito la SBK ha reso ovviamente necessario un grande lavoro sulle moto. Il "taglio" di giri motore potrebbe costituire per la Panigale V2 un problema di spessore maggiore rispetto a quanto rappresentato per le rivali a quattro cilindri, come spiega Melandri: «Per noi piloti con la bicilindrica Ducati il passo indietro rispetto alle quattro cilindri è molto più grande: la riduzione imposta di 600 giri motore richiede un sacrificio nei valori di coppia, ed in alto abbiamo anche circa 2000 giri di allungo in meno rispetto alle quattro cilindri. A noi serve più coppia ai bassi regimi e dobbiamo migliorare alcuni dettagli della ciclista, al fine di incrementare il grip disponibile». 

Indubbiamente il test di Jerez ha dimostrato che mentre in Ducati ci sarà da lavorare e soffrire molto, almeno allo stato attuale le Kawasaki hanno una marcia in più, pur trovandosi penalizzate di quasi 1000 giri motore: «Rea va ancora fortissimo. Alla ZX10RR di Rea sono stati tolti circa 900 giri di rotazione massima del motore, però i piloti Kawasaki possono contare su di un arco di utilizzo buono che parte da 7000 giri e spinge in alto sino a 14100, noi con la Ducati ci fermiamo, invece, a soli 12400 giri. Le Kawasaki hanno un arco di utilizzo molto più ampio e possono sfruttare meglio i rapporti del cambio». 

In chiusura dell'intervista, Melandri parla delle sue aspettative sul 2018, una stagione in qualche modo cruciale per la sua carriera, che presenta una sfida molto importante, ovvero accompagnare la Ducati bicilindrica verso la fine della sua avventura in SBK: «Ora ho un anno di esperienza in più sulla Ducati Panigale R ufficiale, questa è la mia forza. Serve tempo per capire la moto e tutto ciò che ho vissuto nel 2017 mi tornerà utile l’anno prossimo. Penso che Rea e la Kawasaki sia ancora il binomio da battere. Il mio obiettivo è mandare in pensione la due cilindri nel migliore dei modi, poi vedremo: mi trovo davvero bene con questa squadra, sia al lavoro nel box che fuori dalla pista. Voglio dare continuità a questo progetto, ho un team molto competente, quindi punto ad avere un ottimo 2018 così da arrivare a una mia conferma per l’anno successivo».

Gigi Dall'Igna parla del lavoro di sviluppo sulla Desmosedici: «Il focus è la velocità a centro curva»

L'ingegnere alla guida del progetto MotoGP è convinto che il grande cambiamento di Ducati sia avvenuto durante i due test che hanno regalato un grande miglioramento alla Desmosedici

Non è facile individuare quei momenti che durante la stagione regalano un netto balzo in avanti alle prestazioni di una moto o di un pilota. Nel caso della Ducati, possiamo però servirci delle dichiarazioni di Gigi Dall'Igna per comprendere quale sia stato il momento preciso della stagione che ha fatto davvero cambiare l'attitudine in pista, regalando la consapevolezza di poter lottare per la vittoria in un campionato combattutissimo. Secondo il tecnico veneto, questo momento si è concretizzato durante due test di fondamentale importanza per la stagione, ovvero quello di Barcellona e la tre giorni del Mugello.

Il primo test è avvenuto al Mugello, dopo il Gran Premio di Jerez durante il quale Jorge Lorenzo aveva assaporato il primo podio in Rosso. Il secondo test, ovvero quello di Barcellona, è avvenuto dopo il Gran Premio di Francia a Le Mans, una gara che aveva visto protagoniste assolute le Yamaha. Dall'Igna si è espresso con queste parole attraverso il sito inglese Crash.net, facendo luce sulla sua visione: «Di certo non sono felicissimo per il risultato finale, perchè alla fine siamo arrivati secondi, ma sono molto soddisfatto per i progressi fatti fino alla fine della stagione. Sono molto felice per le performance die nostri piloti e sono stato impressionato dalla reazione degli uomini in Ducati dopo le prime gare, come in Qatar, dove abbiamo avuto qualche problema. Non è affatto facile riprendersi da queste situazioni così difficili che abbiamo vissuto ad inizio stagione»

L'ingegnere che è stato il vero artefice della rinascita Ducati in MotoGP individua con molta precisione il momento del cambiamento: «La ripresa è iniziata con i test che abbiamo svolto a Barcellona ed al Mugello, in cui abbiamo migliorato moltissimo le prestazioni della nostra moto. I piloti, in particolare il Dovi, ha fatto un grandissimo lavoro a partire dalla gara del Mugello ed abbiamo lottato fino agli ultimi sei giri per la vittoria del campionato».


Anche Davide Tardozzi sottolinea l'importanza di questi due test: «Sappiamo molto bene che i due test del Mugello e Barcellona hanno cambiato la nostra stagione. Abbiamo trovato qualcosa dopo il test di Barcellona, abbiamo capito in quella occasione che avevamo qualcosa di veramente buono. Il tutto è stato poi confermato in gara al Mugello e poi riconfermato in gara a Barcellona. Da quel momento in poi siamo sempre stati competitivi, da quel momento abbiamo capito che saremmo potuti rimanere in lotta. Da quel punto, Dovi ha trovato il suo equilibrio».

Ovviamente in Ducati le bocche restano cucite riguardo quale sia stato il vero cambiamento nei test, ma probabilmente la chiave di tutto è stato il passaggio ad una costruzione della gomma anteriore Michelin più rigida, evidentemente più adatta alle esigenze della Desmosedici. Quando è stato chiesto a Dal'Igna quanto questo cambiamento possa aver influenzato il comportamento ed il miglioramento di prestazioni della Ducati ecco le sue parole: «Non so cosa dire. Di certo ho lottato molto con la Michelin a Jerez perchè non volevo usare quella gomma. Tutti volevano usarla per la nostra gara di casa al Mugello, ed io non ero d'accordo. Ma è vero, a partire dal Mugello siamo sempre stati al top. In ogni caso, credo che durante i due test di Barcellona e del Mugello abbiamo fatto dei grani passi avanti sotto l'aspetto tecnico»

Adesso si tratta di affrontare la stagione dei test invernali e Dall'Igna ha le idee chiare su cosa occorra: «Di certo la moto ha alcuni punti davvero forti e di certo ci sono altri punti su cui lavorare, come ad esempio la velocità a centro curva che è un aspetto su cui abbiamo ancora qualche problema. Abbiamo alcune idee che vogliamo testare, a qualcosa che come minimo dovrebbe ridurre questi problemi. Lavoreremo su diversi aspetti della moto, come il motore e l'elettronica, anche se su questi aspetti siamo già molto forti. Il nostro focus tuttavia resterà la velocità a centro curva perchè è lì che dobbiamo migliorare. Penso che in almeno due gare della stagione abbiamo sofferto molto con questo problema e dobbiamo fare qualcosa»

giovedì 21 dicembre 2017

Scoppia lo scandalo frodi sulle sponsorizzazioni: un terremoto in arrivo?

Continua l'indagine definita "Hidden Accounts" che ha portato a 85 indagati nell'automobilismo e potrebbe creare un vero terremoto anche nel motociclismo

Il legame tra il mondo dello sport a motori e le sponsorizzazioni "sospette" è una vecchia storia che qualsiasi frequentatore di qualunque Paddock conosce bene. Per chi non sapesse di cosa si tratta, proviamo a definire seppur in minima parte questo meccanismo che è decisamente complesso e con tantissimi risvolti tutt'altro che chiari:

Le sponsorizzazioni a squadre ed associazioni sportive in Italia abbattono l'imponibile fiscale. Questo significa che se un'azienda ha un'imponibile fiscale, ovvero un utile di fine esercizio, che quantificheremo in 1000, dovrà ovviamente versare tasse su quest'importo. Ma se la stessa azienda versa ad associazioni sportive una quota ad esempio di 500, l'imponibile fiscale scende a 500.

La frode che spesso di manifesta è che parte dei 500 che sono stati versati all'associazione (e quindi presumibilmente a questo o quel Team), vengono restituiti a nero alla stessa azienda che ha erogato la sponsorizzazione. Diciamo che le parti si potrebbero mettere d'accordo per dividere il "bottino". Nel caso specifico, l'imprenditore titolare dell'azienda che ha versato la sponsorizzazione, si ritroverebbe due vantaggi:

  1. Pagherebbe le tasse su 500 e non su 1000
  2. Recuperando a nero il 50% della sponsorizzazione, otterrebbe un flusso di liquidi totalmente irrintracciabile per chi deve indagare al riguardo, eludendo di fatto il Fisco (che sia Italia o meno, è irrilevante)
Questa spiegazione, per quanto maccheronica e certamente non precisa al 100%, offre un quadro che almeno fa comprendere le ragioni di certi movimenti. Teniamo tra l'altro a sottolineare che molto spesso i Team che ricevono queste sponsorizzazioni, sono totalmente all'oscuro di quale sia il reale giro di soldi, perchè molto spesso queste stesse sponsorizzazioni sono gestite da società di consulenza che sorgono e muoiono molto rapidamente, con il solo fine di eludere il Fisco attraverso sotterfugi di ogni genere.

E' accaduto non più di 1 anno fa che la Guardia di Finanza abbia smantellato una Società gestita in Italia e con sedi in Inghilterra che aveva come precisa mission quella di mettere in contatto aziende disponibili a sponsorizzare e Team che di quelle sponsorizzazioni necessitavano. Come facevano? Semplice.

Il soggetto A (consulente) metteva in contatto il soggetto B (azienda sponsor) ed il soggetto C (Team). Il soggetto B versava 1000 al C. A questo punto interveniva il soggetto A che emetteva fatture per consulenza al soggetto C, regolarmente pagate da quest'ultimo grazie ai fondi ricevuti con la sponsorizzazione fittizia. A questo punto, il soggetto A faceva girare i soldi fino a rientrare in possesso a nero del soggetto B, trattenendo la propria % di brokeraggio. Pensate sia fantascienza? Vi garantiamo che non lo è affatto.

Ma questa operatività così spicciola, riguarda probabilmente movimenti di piccola entità, ed i soggetti coinvolti non sono quasi mai di spessore nei rispettivi ambienti. Tuttavia l'inchiesta "Hidden Accounts" portata avanti dalla Guardia di Finanza sta andando a fondo di diverse questioni, e lo sta facendo con estrema efficacia.

Il tutto è nato quando si iniziò un'indagine sulla gestione del circuito di Monza, scoprendo fatture di consulenza di importo superiore al milione di euro e senza una base di appoggio solida. Da quel momento si è letteralmente aperto il vaso di Pandora, con un totale ipotizzato di frode pari a circa 75 milioni di euro. Per questa vicenda, sono indagate al momento 85 imprese che tra il 2007 ed il 2014 avrebbero usufruito dei servizi di questo vero gruppo criminale.

La dinamica è stata spiegata dal GIP di Monza, e rientra in quella che è stata la nostra spiegazione della dinamica operativa: le imprese coinvolte, hanno sottoscritto contratti di sponsorizzazione con società di diritto inglese, tutte prive di reale consistenza economica ed aventi la sola funzione di permettere ai soggetti economici italiani l’evasione delle imposte sui redditi, l’esportazione di capitali all’estero e la creazione di fondi neri. 


Il tutto è stato messo in piedi costituendo una serie di società offshore (avete presente i Panama papers?), tutte scatole vuote al pari delle consorelle inglesi. Il flusso di soldi partiva dall'Europa e veniva girato su conti intestati a queste società, per poi essere restituiti alle aziende complici sia in contanti che attraverso altri sistemi, come ad esempio l'acquisto di beni immobiliari nelle sedi dei conti imputati.

Ogni somma riciclata, veniva di fatto decurtata della percentuale che si tratteneva l'associazione criminale, con un patrimonio confiscato a quest'ultima al momento pari a circa 10 milioni di euro. Il primo arresto avvenne nel Dicembre del 2016, coinvolgendo due cittadini italiani ed uno svizzero. Il totale delle persone denunciate per associazione a delinquere è ad oggi di 82 soggetti, accusati anche di frode fiscale e riciclaggio.

Finora non sono stati resi noti i nomi coinvolti, ma la preoccupazione è che questo possa essere un primo passo verso lo smantellamento di un sistema di corruzione a tutti i livelli, che coinvolge sia il mondo dell'automobilismo sportivo che quello del motociclismo. C'è una forte probabilità che queste indagini in futuro arrivino a ledere in qualche modo il mondo del Racing anche a due ruote e secondo diversi media nazionali, sono molte le teste davvero di peso che rischiano di cadere e fare un tonfo davvero impressionante.

Per ora non resta che attendere sviluppi, sperando che non si trovi troppo torbido in un mondo che dovrebbe vivere di passione ed entusiasmo, e non di soldi riciclati e truffe di vario genere.

mercoledì 20 dicembre 2017

Jack Miller in azione sulla Ducati di Pramac - VIDEO

Jack Miller mette alla frusta la Ducati GP17 del Pramac Racing per la seconda volta sul tracciato di Jerez in questo video pubblicato dal sito inglese Crash.net

Tra i piloti australiani e la Ducati c'è sempre un certo feeling, e la stessa cosa sembra confermata dalle prestazioni di Jack Miller in sella alla Ducati GP17 del Team Pramac nelle prime sessioni di test invernali.

Queste immagini sono state immortalate da Crash.net, sito britannico di riferimento, e testimoniano le prime impressioni dell'aussie chiamato a scrivere una nuova fase della propria carriera in sella alla moto di Borgo Panigale. In bocca al lupo, Kangaroo Jack!
 

Parla Gabarrini, attuale tecnico di Lorenzo ed ex di Stoner: «Casey e Jorge sono simili in termini di talento»

Il tecnico Christian Gabarrini ha legato la propria carriera ai successi di Casey Stoner ed è tornato in Ducati per affiancare Jorge Lorenzo. Ecco le sue parole sul confronto tra i due campioni

Da un lato c'è il talento australiano, la grande rivelazione che ha permesso a Ducati di conquistare il campionato del mondo MotoGP nel 2007 e corrisponde ovviamente a Casey Stoner. Dall'altra parte c'è uno spagnolo con un pedigree di grande pregio, che vuole arricchire la propria collezione con una perla più unica che rara, ovvero riportare la Rossa in vetta al mondo. Ed ovviamente, in questo caso parliamo di Jorge Lorenzo.

In tanti hanno lavorato con questi due grandissimi campioni, ma c'è un solo tecnico che li ha affiancati entrambi. Stiamo parlando di Christian Gabarrini, che dopo aver conquistato con Casey il titolo 2007 non ha più lasciato il box dell'australiano di Curri Curri. Gabarrini è rimasto fedele a Casey anche quando le strade dell'australiano e della Ducati si sono separate, con l'approdo da parte di entrambi alla corte della HRC, con i buoi uffici di Livio Suppo.


Gabarrini si è goduto anche la vittoria di Stoner in sella alla Honda targata 2011, e quando Casey ha deciso di salutare il dorato mondo della MotoGP, è rimasto nell'orbita HRC andando ad affiancare Jack Miller, ovvero un altro australiano dal polso caldo. Il percorso che l'ha riportato in Ducati, è stato tracciato anche grazie all'arrivo in Ducati di Jorge Lorenzo. E' stato probabilmente anche il pilota spagnolo a scegliere Gabarrini come proprio tecnico nel box.

Dopo un anno di lavoro al fianco di Lorenzo, è naturale che si chieda all'italiano di paragonare lo spagnolo con Casey Stoner. Dall'esterno, sembrano due piloti davvero agli antipodi, ed anche nelle parole di Gabarrini si trova conferma alla diversità che caratterizza questi due grandi manici delle due ruote. Dopo la prima stagione al fianco di Lorenzo, Gabarrini ha anche potuto smentire tutti coloro che l'avevano messo in guardia. Queste le parole rilasciate a Motorsport.com«Tutti mi hanno detto che lavorare con Jorge sarebbe stato molto difficile, ma non è vero. Se uno gli spiega cosa sta succedendo, ragiona, anche se magari non è d'accordo. E' una persona molto buona».


Quando poi gli si chiede chi sia il migliore e chi il migliore tra questi due grandissimi campioni, Gabarrini offre una risposta molto diplomatica: «Sono simili in termini di talento, entrambi sono nati per correre in moto. Hanno un diverso carattere e un metodo di approcciarsi al lavoro differente. Casey era un pilota istintivo, aveva bisogno di poche curve per capire la moto e non faceva molti giri. Jorge usa meno il suo istinto e preferisce lavorare con metodo».

Le differenze tra Stoner e Lorenzo sono dunque molto marcate per il tecnico: «Lorenzo è molto preciso e meticoloso, oltre che molto sensibile alle reazioni della moto. Fortunatamente per me, pochi hanno avuto l'opportunità di lavorare con un pilota come Lorenzo. In alcuni momenti ho sentito la pressione perché non arrivavano i risultati che tutti si sarebbero aspettati da lui. Ma questo fa parte del nostro lavoro e dobbiamo anche cercare di liberare il pilota da quella pressione»

Jorge Lorenzo e la Desmosedici GP18 saranno da titolo

L'ingaggio di Jorge Lorenzo è stato fatto con il preciso intento di vincere il titolo MotoGP con lo spagnolo entro il biennio 2017/2018. Un traguardo che oggi appare più vicino

Quando è stato ingaggiato Jorge Lorenzo dalla Ducati all'inizio del 2016, la Casa italiana non vinceva un Gran Premio dal 2010, ovvero dalla partenza di Casey Stoner verso altri lidi. La crescita della Desmosedici era già sotto gli occhi di tutti, ma c'è da ammettere che lo spagnolo ha accettato quella che all'epoca era indubbiamente una bella sfida. Di certo l'ingaggio messo sul piatto dalla Ducati ha ingolosito Lorenzo, ma pensiamo che la scelta di accettare la proposta Ducati non sia dipesa esclusivamente da fattori economici.

Jorge Lorenzo aveva già grandissima stima di Gigi Dall'Igna ai tempi dell'Aprilia, e l'ingegnere italiano conosceva già perfettamente le grandi doti del pilota che si ostina a chiamare "Giorgio" con paterno e sincero affetto. In questa concatenazione di accordi, contratti, idee, nessuno aveva la minima idea che si sarebbe inserito con forza bruta il talento di Andrea Dovizioso. L'italiano era stato scelto per ricoprire il ruolo di alfiere di lusso, ma pur sempre di alfiere. Non era suo il ruolo di Re nella scacchiera Ducati MotoGP, e non era di certo da Dovizioso che la Ducati si aspettava di ricevere tante soddisfazioni e vittorie in stagione.



Eppure la stagione è andata esattamente così, ed una volta fatto il punto della situazione, Lorenzo ha fatto un bilancio in ogni caso positivo, considerato che il passaggio tra Yamaha e Ducati ha richiesto senza dubbio un lungo periodo di adattamento, compiuto con umiltà e perseveranza da parte dello spagnolo. Di certo a Lorenzo è pesato di chiudere la sua prima stagione in MotoGP senza vittorie, cosa che non è mai accaduta dal suo debutto nella classe regina targato 2008.

Tuttavia lo spirito combattivo dello spagnolo emerge con forza dalle sue parole, anche in considerazione del fatto che probabilmente a Sepang Lorenzo ha perso la sua unica chance pulita di vincere la prima gara in sella ad una Ducati. Queste alcune dichiarazioni riportate da Motorsport.com, che sintetizzano l'approccio dello spagnolo al futuro : «Nel 2018 proverò ad ottenere la mia prima vittoria con la Ducati e, naturalmente, lotterò per provare a vincere il Mondiale. Nello sport non ci sono mai garanzie di questo tipo, anche se spero che il processo di adattamento che abbiamo avuto quest'anno mi servirà a migliorare nel 2018».

Il pupillo di Dall'Igna ha poi riconosciuto che il percorso di adattamento alla guida della Ducati Desmosedici, ha richiesto più tempo del previsto, ritenendo però di aver messo a frutto tutta l'esperienza maturata soprattutto nel finale di stagione, che è stato senza dubbio in crescendo: «E' stato un primo anno di adattamento alla squadra. Nuova moto, nuovo marchio, tutto nuovo. E' stato un po' più difficile del previsto. Ad ogni modo, devo continuare con le buone sensazioni dell'ultima parte della stagione e con il miglioramento che abbiamo mostrato nelle ultime gare».

Jorge Lorenzo vincerà il titolo nel 2018? 


Ovviamente non ci è possibile rispondere a questa domanda, ma di una cosa siamo più che certi: lo spagnolo in questa prima stagione è stato umile quando necessario ed ha sfoderato gli artigli quando ha potuto. Non si è rassegnato di fronte ai primi problemi ed ha lottato per emergere e comprendere al meglio la "filosofia" Ducati. Molto spesso è in Factory a Bologna e si trova benissimo con la squadra e gli ingegneri in Rosso. E poi del 2017 ci piace anche ricordare l'immagine di un grande campione come lui ai piedi del podio a festeggiare assieme alla squadra il vincitore Dovizioso.

Ci sono stati senza dubbio altri campioni in sella alla Desmosedici, che non avrebbero festeggiato assieme alla squadra se avesse vinto il compagno di Team di turno. Ne approfittiamo per augurare buon Natale ad un angelo di nome Nicky, un bravo ragazzo. Un ottimo pilota ed un grande uomo.

In Ducati, i grandi uomini sono sempre stati apprezzati dai tifosi. Che fossero piloti, ingegneri, meccanici o manager. Le vittorie sono importanti, ma non sono tutto.

martedì 19 dicembre 2017

Con quale MotoGP si cade di più? E' una moto italiana, ma non la costruiscono a Borgo Panigale

Un indovinello piuttosto semplice da risolvere: si tratta ovviamente dell'Aprilia, che ha l'antipatico record di maggior numero di cadute in stagione per moto

Le cadute in MotoGP fanno parte del gioco. Anche Marc Marquez, che si è laureato campione del mondo per la quarta volta nella classe regina, mette assieme un numero impressionante di contatti eccessivamente ravvicinati con l'asfalto in ogni stagione in cui corre. Lo spagnolo sostiene che la caduta sia un processo naturale che avviene quando esplori il limite di gomme e moto, ma c'è anche da sottolineare che nel caso di Marquez la stragrande maggioranza delle cadute avviene durante le prove libere e nelle altre sessioni, ma non in gara. Diverso il discorso per quasi tutti gli altri.

Il sito inglese Crash.net ha deciso di pubblicare una classifica delle cadute, suddividendo il numero di cadute per ogni moto di ogni singolo Costruttore in griglia, in modo da capire quale sia realmente la moto con cui si cade di più oggi in MotoGP. In questa particolare classifica, fino a pochi anni fa, la Ducati occupava purtroppo una salda prima posizione, ma le cose sono decisamente cambiate nelle ultime stagioni ed oggi la classifica ha un volto molto diverso.

Riportiamo i numeri e dopo addentriamoci in un'analisi più approfondita:


  1. Aprilia: 50 cadute totali - 2 moto in griglia = 25 cadute di media per moto
  2. Honda: 84 cadute - 5 moto = 16,8
  3. Suzuki: 25 cadute - 2 moto = 12,5 
  4. Ducati: 97 cadute - 8 moto = 12,1
  5. KTM: 18 cadute - 2 moto = 9
  6. Yamaha: 35 cadute - 4 moto = 8,8
In questo conteggio, come segnalato da Crash.net, il numero di piloti non è stato ovviamente influenzato dalle wild card: quando Nozane, Parkes e Van Der Mark hanno sostituito Folger, la classifica li conteggia come singolo pilota, lasciando ovviamente il numero di piloti Yamaha a quota 4 totali, senza dunque incidere sulla media totale. Stesso discorso per le gare in cui alcuni titolari non hanno corso, ma non sono stati neanche sostituiti, come Rossi a Misano e Espargarò a Sepang.

La classifica vede dunque Aprilia in testa con l'impressionate numero di 50 cadute totali suddivise su due moto, che porta ad una media di 25 cadute per stagione a pilota. C'è da sottolineare che con la RS-GP nel 2017 ha corso Sam Lowes, capace da solo di mettere assieme 31 cadute su 18 gare, il che è una specie di record difficile da eguagliare. Ma non è stato da meno il suo compagno Aleix Espargarò, che di gare ne ha corso anche una in meno avendo saltato Sepang, e comunque ha messo assieme 19 cadute totali. 

Queste 50 cadute possono voler dire che i due piloti Aprilia hanno spinto tantissimo per tutta la stagione, oppure possono significare che la moto di Noale ha ancora qualche difficoltà a trasmettere il limite ai propri piloti. In ogni caso sono dei numeri su cui ragionare a fondo, perchè sono senza dubbio sintomatici di un problema piuttosto profondo. La RS-GP si è dimostrata spesso velocissima in stagione, ma questo primato mette in ombra alcuni aspetti della sua competitività. Come diceva Enzo Ferrari: "per vincere le gare, devi prima finirle...."



Passando alla seconda il classifica, c'è la sorpresa della Honda che ha una media cadute decisamente alta. Marquez fa la sua parte del leone, con 27 cadute totali, ed anche il buon Cal Crutchlow, che ancora ricordano al reparto carene di Ducati Corse, rivaleggia per il top di classifica con 24 cadute. Di certo la Honda non è più la moto equilibrata di qualche anno fa, ed è diventata decisamente meno amichevole. Forse in HRC hanno estremizzato la moto seguendo anche le indicazioni di Marquez, ed il risultato è che la moto, pur essendo molto veloce, non è più "facile" come spesso veniva etichettata qualche anno fa.

Al secondo posto in questa classifica, con una media di 16,8 cadute per moto, la Honda sembra quasi fuori comfort zone. L'elemento che avvalora una maggiore tendenza alla caduta della RC 213v, è il conteggio di cadute di Dani Pedrosa. Nel 2014 lo spagnolo aveva messo assieme solo tre cadute in tutta la stagione, mentre in questo 2017 il conteggio è salito ad un totale di 9. Non sono poche per un pilota come Pedrosa. 

Terzo gradino del podio per una Suzuki in crisi d'identità. La moto di Hamamatsu si è resa protagonista di 25 cadute totali tra i due piloti, con una media di 12,5 cadute per pilota. La GSX-RR sembrava avere nella sua ciclistica uno dei suoi veri punti forti almeno fino al 2016, mentre in questa stagione sia Iannone che Rins hanno più volte saggiato l'asfalto. Secondo le loro opinioni, la causa principale di queste cadute è stata una scelta errata riguardo il motore da omologare ad inizio stagione. Sembra infatti che la specifica scelta si sia rivelata troppo cattiva, mettendo in crisi l'equilibrio generale di un progetto che invece era nato benissimo. C'è da dire che con Iannone in sella, qualsiasi moto ha la naturale tendenza ad omaggiare Newton.


Per trovare la Ducati, si deve dunque scendere da un podio sul quale nessuno vorrebbe stare, per trovare la Casa di Borgo Panigale al quarto posto, con un totale di 97 cadute, che è il numero più alto, ma è diviso sul numero più alto di moto presenti in pista dello stesso Costruttore. La media è di 12,1 cadute per pilota a stagione, che in effetti significa che c'è stato almeno un 33% dei GP in cui nessuna Ducati è caduta. Un bel risultato se si considera da dove si partiva, ovvero una media nel 2012 che probabilmente era il doppio di questa.

In cinque anni sono cambiate tantissime cose, e il progetto Desmosedici è diventato sia molto più competitivo che molto più "facile", diventando di fatto la scelta perfetta per i team privati, come dimostrano le 8 moto Made in Borgo Panigale presenti in griglia MotoGP.


Brillano in questa classifica anche KTM e Yamaha, che occupano rispettivamente la quinta e sesta posizione. Se è naturale trovare la Yamaha M1 così in basso in questa classifica, visto che la moto di Iwata è universalmente riconosciuta come la più equilibrata del lotto, è altrettanto strano trovare la KTM in quinta posizione, con appena 18 cadute totali ed una media di 2,2 per pilota. Un risultato davvero encomiabile per la Casa austriaca, che nel suo anno di debutto in MotoGP si è resa protagonista di una grande crescita. La RC-16 ha dimostrato grandi margini di miglioramento, ed il fatto che sia stata vittima di così poche cadute in stagione, pur essendo Rookie in gara, dimostra la bontà di questo progetto.

A margine del pezzo di Crash.net, il simpatico racconto che ha fatto Cal Crutchlow parlando di Ruben Xaus, vecchia conoscenza di Ducati. Un pilota che aveva una certa abitudine alla caduta e che adottava un sistema tutto suo per allenarsi a cadere al meglio: «Ruben cadeva moltissimo, e so per certo che indossava la sua tuta, il casco e gli stivali, e che si metteva su un trampolino che aveva costruito in casa sua, saldato nel pavimento. Lo utilizzava per saltare e rotolare nelle vaire direzioni, simulando i vari scenari di una caduta. Devo ammettere che nella sua intera carriera, penso si sia fatto male una sola volta ai tempi della BMW in SBK a Brno». 

lunedì 18 dicembre 2017

Tutte le Ducati di Troy Bayliss

Continua l'emozione per il ritorno in gara di Troy Bayliss e abbiamo pensato di proporvi una carrellata di tutte le Ducati che il grande Troy ha portato in gara

Dal debutto alle prime vittorie nel BSB, fino allo sbarco in America e la pole di Daytona. Poi il mondiale, lo sbarco in MotoGP, con tre titoli mondiali SBK conquistati in sella a tre modelli differenti. Infine il ritorno in gara con la Panigale SBK al posto di Giugliano e nel 2018 il ritorno a tempo pieno nell'ASBK. Poche righe che condensano un'infinità di emozioni tutte targate Ducati.

Ecco tutte le Ducati di Troy Bayliss, probabilmente il pilota più amato tra gli appassionati che hanno la Casa di Borgo Panigale nel cuore, ed hanno avuto la fortuna di godere delle gesta di questo incredibile pilota australiano per tanti anni. Bayliss ha vissuto l'epoca d'oro in Ducati, con i trionfi in SBK e l'incredibile vittoria di Valencia in MotoGP. Una carrellata incredibile di moto che assieme a Bayliss hanno contribuito a scrivere la storia della della Ducati.

Il suo primo contatto con la Ducati avvenne nel 1998, quando la britannica GSE, che poi fece debuttare Hogdson e Toseland, lo chiamò in Inghilterra per lottare nel BSB nel 1998. Bayliss si era fatto notare correndo nel campionato australiano SBK e diede spettacolo nella sua Wild Card nel mondiale a Phillip island, targata 1997. Bayliss non era più giovanissimo, ma a 28 aveva tutta la fame dei ragazzi alle prime armi e la voglia di emergere di chi ha talento da vendere.

La prima Ducati da gara portata in pista da Troy Bayliss fu dunque la 996r del GSE, Team di riferimento per la Casa di Borgo Panigale in Gran Bretagna, in quello che già sul finire degli anni 90' era il campionato nazionale di maggiore importanza almeno in ambito europeo. L'australiano debuttò nel 1998, ma fu nel 1999 che il suo talento esplose letteralmente. Bayliss dominò il campionato con 7 vittorie e 14 piazzamenti sul podio in una stagione perfetta che lo pose al centro delle attenzioni per gli uomini Ducati.


La vittoria nel British, rende Bayliss l'uomo perfetto per la missione successiva. Ducati voleva consolidare la propria posizione sul mercato strategicamente più importante, ovvero quello degli Stati Uniti, e decisero di affidare all'australiano la missione più importante: vincere il campionato SBK AMA. Bayliss dimostrò presto di poter portare a termine la missione, conquistando subito la Pole Position nella prima ed anche più importante tappa della stagione, ovvero la 200 Miglia di Daytona. Non riuscì a portare a termine la gara, ma dimostrò che il team Vance&Hines aveva una nuova stella su cui puntare per battere le corazzate Honda, Yamaha, Kawasaki e Suzuki, che all'epoca schieravano nomi di peso del calibro di Hayden, Mladin, Gobert (part time) e Russell.


Dopo la chiamata da parte del Team Ducati per il Mondiale, Bayliss corse a Sugo, debuttando sulla 996r in livrea Factory, con cui completò poi la stagione 2000 e si laureò campione del mondo nel 2001. 


Nessuno potrà dimenticare poi la grafica One Shot utilizzata ad Imola da Troy Bayliss nel 2001, appena laureato campione del mondo con la 996r. La grafica era stata disegnata per celebrare la vittoria alla 200 Miglia di Imola di Paul Smart, icona del mondo Ducati degli anni 70'. 


Nel 2002 Bayliss potrà finalmente fregarsi del n°1 sulla tabella della moto, un'onore che serve per ricordare a tutti chi è il vero Re della SBK in quel momento. La stagione è splendida, anche se Bayliss non riesce a resistere al ritorno impetuoso di Colin Edwards nella seconda parte della stagione. La tappa di Imola, che chiude il 2002, resterà un ricordo indelebile nella memoria di tutti gli appassionati, per uno dei finali di stagione più belli della storia delle corse. 


A questo punto, Ducati decide che Bayliss è pronto per scrivere un'altra pagina incredibile della sua storia da pilota e lo sceglie come compagno di Team di Loris Capirossi per il debutto della mostruosa Desmosedici nel mondiale MotoGP del 2003. La stagione è ottima, con Bayliss che sale sul podio tre volte e conquista un'ottima sesta posizione finale nella classifica generale del mondiale.


Nella seconda stagione qualcosa si guasta e l'equilibrio della Desmosedici sembra lontano. Una pessima annata termina con un divorzio tra Ducati e Bayliss, che prova a giocarsi le sue carte in Honda nel 2005 alla corte del Team Pons.


 Ma Troy Bayliss è a tutti gli effetti un pilota ed un uomo Ducati e nel 2006 torna all'ovile, tornando a correre in SBK nel mondiale, in sella alla Ducati 999 che si è già dimostrata una moto vincente con Hodgson e Toseland. Bayliss corre una stagione perfetta e domina il campionato, mettendo a segno il secondo titolo per la Casa di Borgo Panigale.


Sempre nel 2006, l'impresa di Valencia. Troy viene chiamato a sostituire Sete Gibernau per l'ultima gara della stagione nel mondiale prototipi, ed accetta solo a condizione di poter correre portandosi dietro la squadra con cui ha dominato in SBK. Bayliss arriva a Valencia carico, con la voglia di dimostrare che quella MotoGP che l'ha masticato a gettato via solo un anno prima, non meritava di vedere correre un pilota del genere. Bayliss vince a mani bassi scrivendo una pagina unica ed irripetibile nella storia delle corse motociclistiche. Questa moto adesso fa parte della collezione privata di Genesio Bevilacqua, ed è visibile nella splendida mostra Moto dei Miti, che invitiamo davvero tutti a visitare.


Il 2007 scorre tranquillo, anche se la 999 è ormai al suo limite fisiologico ed i regolamenti SBK stanno cambiando per consentire a Ducati di far debuttare la 1098r, la moto che deve riportare il titolo SBK a Borgo Panigale e dimostrare che il bicilindrico è ancora un motore adatto alle competizioni. Manco a dirlo, Bayliss domina nel 2008 con una moto che nelle sue mani è letteralmente invincibile.


Ducati decide di salutare Troy Bayliss a Portimao, nella sua ultima gara prima del ritiro (doppietta perentoria) con una grafica dedicata, che darà anche vita ad una Ducati 1098r Bayliss Replica. E' l'ultima volta in cui Bayliss corre da pilota ufficiale Ducati, bisognerà attendere parecchi anni prima di ritrovarlo in gara.


Gli appassionati e tifosi dovranno aspettare parecchi anni prima di rivedere Bayliss in gara in sella ad una Ducati. Troy avrà infatti l'opportunità di sostituire Davide Giugliano a Phillip Island nel primo round della stagione 2015 ed anche nel secondo di Buriram, in Tailandia. Troy non brilla ma se si considera che corre senza alcun test, senza alcuna preparazione fisica e senza conoscere per niente la Panigale e le gomme Pirelli, il quadro assume contorni leggermente diversi.


Questa la collezione di moto con cui Troy Bayliss ha corso e vinto i tre titoli mondiali che l'hanno di fatto consegnato per sempre alla storia delle corse ed in particolare alla Ducati ed a tutti i suoi tifosi. Come ci piace ripetere spesso, in attesa di vedere la livrea della moto che utilizzerà in gara nell'ASBK nel 2018: Siamo tutti figli di Troy!

Missili Rossi dal passato: Ducati Multistrada 1000 DS, una moto incompresa

La Ducati Multistrada è senza dubbio stata una scommessa vincente per la Casa di Borgo Panigale. Siamo arrivati alla quarta generazione di questo modello ed è bello ripercorrere la sua storia

Sul finire degli anni 90' la gamma Ducati era senza dubbio meno ricca rispetto al listino attuale. L'ammiraglia sportiva 998 sentiva innegabilmente il peso degli anni, assieme alla sorella minore 748. La Monster viveva ancora di rendita, forte del fatto di aver letteralmente stravolto le regole del mercato con la sua epica prima versione 900. C'erano anche la Superport in varie declinazioni tutte rigorosamente a due valvole e poi c'erano le ST, ovvero le rivali della Honda VFR. 

Mancava però in gamma una moto che fosse più fruibile per tutti, la classica moto adatta per divertirsi ed anche per andare al lavoro o a fare la spesa. Mancava insomma una tuttofare che potesse aprire nuovi scenari di mercato per la Casa italiana, che aveva ambizioni di grande crescita per il futuro forte di un brand che soprattutto nel Racing stava dando enormi soddisfazioni.

Ducati Multistrada 1000 DS - 2003


Così nacque l'idea di creare una versione Ducati della BMW GS, ovvero la regina del mercato. Ma il tutto doveva avvenire traducendo il DNA di Borgo Panigale in una moto che prese il nome di Multistrada. Decisero di chiamarla così proprio perchè quella moto doveva essere adatta a diversi utilizzi, pur mantenendo un'identità molto forte e perfettamente riconoscibile.

Nella definizione del progetto, si partì ovviamente dai capisaldi tecnici che erano assolutamente irrinunciabili: telaio a traliccio, motore due valvole e frizione a secco. Questa triade era praticamente intoccabile all'epoca ed era fondamentale per definire il carattere Ducati delle moto di quel periodo. Si doveva a questo punto operare una scelta forte anche per quanto riguarda il Design, e in Ducati decisero di dare spazio alla creatività di Pierre Terblanche. Sudafricano, padre della splendida Ducati Supermono, il designer decise di mettere una firma quanto mai indelebile su questo progetto, rompendo qualsiasi schema e disegnando di fatto un nuovo genere di moto.

La prima Multistrada metteva in mostra una serie di scelte estetiche davvero particolari, che rendevano riconoscibilissima la moto. Alcuni l'hanno amati, ma in tanti l'hanno odiata. Il cupolino in due pezzi, il monofaro verticale, il doppio scarico che sembrava un cannone da contraerea. Diciamo che l'estetica della moto non metteva d'accordo tutti, ma anzi creò spaccature tra gli appassionati.  

Comportamento in pista e su strada


Ma restiamo in ambito Multistrada e passiamo invece a valutare l'aspetto più importante, ovvero le sue prestazioni. La moto era una versione molto pepata delle grosse endurone vendute dalla concorrenza, ed una volta in sella il suo carattere si manifestava alla primissima apertura del gas. La Ducati Multistrada 1000 ha un motore assolutamente brillante, capace di far divertire in qualsiasi frangente. Bastano pochi km per capire di trovarsi davvero in sella ad un nuovo concetto di moto. Una fun bike, capace di diventare una tourer piuttosto comoda.

Agilità da motard, uniti ad abitabilità e comfort tutto sommato adatti anche a lunghissime percorrenze. Una triangolazione indovinata, regalava un feeling sull'anteriore davvero impressionante, anche se la posizione tendeva a far "caricare" anche troppo l'avantreno in certe circostanze, almeno se si considera il tipo di moto di cui stiamo parlando. Questa posizione aveva il vantaggio di rendere davvero brillante la guida della moto nel misto stretto, ma dall'altra parte penalizzava leggermente il comfort sulle lunghe distanze.

Il motore, pur offrendo ottime prestazioni da passista, garantiva dei consumi non particolarmente parchi. Aggiungendo all'equazione un serbatoio da circa 20 litri, la reale capacità della moto non è mai stata propriamente da tourer. Nonostante questi "difettucci" tantissimi hanno utilizzato la Multistrada 1000 per lunghi viaggi, potendo contare su una meccanica semplice quanto affidabile con il collaudatissimo V2 Ducati in una delle sue ultime incarnazioni di 1000 cc e dotato di doppia accensione che lo rendeva più morbido rispetto alle versioni più cattive.


Una componentistica di primo livello, permetteva anche di cucirsi la moto addosso secondo necessità, permettendo di utilizzare la moto davvero per gli ambiti più disparati. Ricordiamo bene che la rivista Motociclismo, decise anche di portarne una in gara in Austria, ad un evento che prendeva il nome di Ducati Speed Week e si correva sul circuito di Zeltweg.

L'idea era quella di partire dall'Italia con la moto carica di bagagli e accessori, fare il minimo necessario una volta in pista per adattarla e poi correre in gara. Al termine di questa, risalire in sella e tornare verso l'Italia. Un'iniziativa davvero indovinata, che dimostrò tra l'altro un feeling inaspettato tra questa moto e la pista. L'unico limite fu la luce a terra, piuttosto ridotta vista la conformazione del gruppo pedane originale. Ma il resoconto dell'avventura è davvero un ottima guida ed un grande manifesto per una moto che aveva diversi assi nella manica. Questo il link per leggere l'intera impresa.

Tutti i numeri della Multistrada 1000 DS


I numeri di questa moto possono essere riassunti così:

  • CILINDRATA - 992 cm³ (Alesaggio 94,0 x Corsa 71,5 mm)
  • DISTRIBUZIONE - Desmodromica 2 valvole per cilindro
  • POTENZA - 84 cv (62 kW)
  • PESO - 200,1 kg in condizioni di marcia
  • INTERASSE - 1462 mm

Da aggiungere a questa lista di numeri, ci sarebbe l'infinita lista di accessori tratti dal catalogo Ducati che furono presentati assieme alla moto. C'era la possibilità di personalizzarla in tantissimi modi, sia dando un carattere maggiormente Racing alla Multistrada, sia esaltando le sue doti da Tourer. Come sempre però, il prezzo può essere determinante nel prendere la decisione riguardo l'acquisto o meno di una moto, ed ecco le quotazioni che ci sono in giro per il web. Quanto costa dunque una Multistrada 1000?

Quanto costa oggi una Multistrada 1000 e cosa controllare 


Partendo dal modello del 2003, l'offerta sul web oscilla tra i 2000 ed i 3500 euro. Questo prezzo così basso è il risultato di un progetto che non ha mai davvero fatto battere il cuore. Eppure stiamo parlando che mette sul piatto davvero tantissimo, e lo fa con un rapporto qualità prezzo davvero impressionante.

Cercando in giro tra i vari siti di annunci, si notano tante moto che hanno parecchi anni sulle spalle eppure pochissimi km sulla strumentazione. Uno dei difetti della prima serie messa in vendita nel 2003 era l'errata vulcanizzazione dei supporti strumentazione, che spesso cedevano per le vibrazioni ed a volte hanno causato la caduta dell'intero blocco strumentazione a terra. Pur essendo già un modello dotato di un'elettronica abbastanza raffinata, spesso la sostituzione di questa strumentazione (effettuata in garanzia) portava ad azzerare i km della moto.

Diffidate dunque di moto che pur essendo state immatricolare nel 2003, segnano meno di 20k chilometri. Questa è una moto che veniva acquistata per fare tanta strada, ed è strano pensare ad una percorrenza annuale inferiore a 1500 chilometri/anno.


Occhio ad eventuali perdite d'olio sul cilindro superiore, un problema spesso dovuto a mancanza di cura da parte del precedente proprietario. Stiamo parlando di una unità, ovvero il V2 due valvole Ducati, assolutamente irreprensibile per quanto riguarda l'affidabilità. Ma questa moto è stata anche acquistata da chi l'ha spremuta in giro per i passi di tutta l'Italia, e la mancanza delle giuste cure può aver generato dei problemi meccanici a lungo termine. Da controllare con cura anche le piste dei dischi freno, agganciate al cerchio. Alcuni modelli presentavano dei problemi alle pinze che portavano alla deformazione precoce dei dischi, quindi verificate bene il tutto.

Anche la forcella anteriore presenta una certa debolezza nei paraoli di tenuta, che spesso hanno dovuto sopportare atterraggi decisamente cattivi, viste le capacità funamboliche di una moto che spesso invitava al monoruota. Difficile nascondere su una moto del genere segni di cadute, ma attenzione alle plastiche laterali del serbatoio. I supporti di aggancio non sono particolarmente solidi ed un eventuale segno di saldatura plastica o riparazione può rivelare una caduta che non è stata comunicata dal proprietario.

Fatti i dovuti controlli, questa è una moto che davvero ci sentiamo di consigliare. Il grande rapporto qualità-prezzo a cui si colloca oggi, permette con poco di acquistare un'ottima moto con cui divertirsi e fare tanti chilometri. Se l'estetica non vi convince, vi esortiamo a salire in sella alla moto e provare a farci qualche chilometri. Il sorriso che vi spunterà sul viso, vi farà dimenticare che non sempre Terblanche ci ha preso.